- INTERVENTO
Intervento tenuto a Palazzo Vecchio in occasione della riunione esterna di politica monetaria del Consiglio direttivo a Firenze
Intervento di Christine Lagarde, Presidente della BCE, in occasione della cena ufficiale offerta dalla Banca d’Italia a Firenze
Firenze, 29 ottobre 2025
È un piacere essere qui a Firenze.
Non è facile intervenire dopo Fabio, oratore di grande eloquenza. Solitamente noi responsabili della politica monetaria abbiamo un vantaggio comparato nei numeri più che nelle parole.
Ma tu Fabio sei un fuoriclasse, con un vantaggio comparato in entrambe le qualità. Desidero ringraziarti ed esprimere la mia gratitudine al personale della Banca d’Italia per la straordinaria ospitalità riservataci qui a Firenze, una bellissima città ricca di storia come poche altre al mondo.
Firenze commissionò grandi capolavori a Michelangelo e Leonardo, promosse gli studi umanistici e diffuse la stampa e le conoscenze scientifiche in tutto il continente.
Questa sera vorrei però concentrarmi su un’opera in particolare: la cupola del Brunelleschi, che sovrasta la cattedrale della città. Non per esaltarne il fascino e la bellezza, pur innegabili, ma perché oggi la sua storia straordinaria è fonte di ispirazione per l’Europa.
I lavori per la costruzione del Duomo ebbero inizio alla fine del 1200, ma rimasero incompiuti per oltre un secolo. La sfida con cui confrontarsi era la realizzazione di una cupola di tali dimensioni che nessuno sapeva come progettare.
Non furono certo di aiuto la Peste nera e le guerre che colpirono la città in quel periodo, rallentando comprensibilmente il completamento dei lavori. Ma Firenze non si lasciò scoraggiare e nel 1418 bandì un concorso per la realizzazione della cupola.
Filippo Brunelleschi ottenne l’incarico con un progetto architettonico innovativo, allontanandosi dalla tradizione e ripensando le modalità di costruzione delle grandi strutture autoportanti.
Il ricorso alla tecnica dei mattoni a spina di pesce, ad esempio, permise l’innalzamento dei livelli della struttura senza il supporto delle tradizionali impalcature di legno. Furono inserite inoltre catene orizzontali di pietra e ferro che fungevano da anelli per l’assorbimento delle spinte esterne trasmesse dalla cupola.
Di pari originalità fu l’idea della doppia calotta, una interna a sostegno dell’enorme peso della cupola e una esterna di protezione, che fu applicata per la prima volta a un progetto di tali dimensioni.
Durante i sedici anni necessari alla costruzione, alcuni erano convinti che sarebbe crollata in corso d’opera. Dopo tutto, una struttura simile non era mai stata realizzata. Ma Brunelleschi sfidò i contemporanei, ed è grazie alla sua determinazione se oggi possiamo ammirare i frutti del suo successo.
La storia del Duomo di Firenze e della sua cupola è anche la storia dell’Europa moderna, essa stessa cattedrale di nazioni. Vorrei soffermarmi in particolare su tre analogie.
In primo luogo, siamo anche noi parte di un progetto visionario un tempo ritenuto da molti irrealizzabile, e questo paese ha dato i natali ad alcuni dei costruttori di tale visione.
Pensiamo ad Alcide De Gasperi, che ha gettato le fondamenta della costruzione europea, ad Altiero Spinelli, che ha immaginato un’architettura federale molto prima che sembrasse possibile, e al mio predecessore, Mario Draghi, che in un momento di profonda incertezza per il futuro dell’Europa ha dimostrato l’importanza della risolutezza al pari del progetto stesso.
In secondo luogo, l’Europa, come la cupola, ha resistito a tempeste che avrebbero potuto distruggerla.
Solo negli ultimi cinque anni, abbiamo affrontato la più grave pandemia dagli anni ’20 del secolo scorso, i più alti dazi statunitensi dagli anni ’30, la peggiore crisi energetica dagli anni ’70 e la guerra di terra più devastante sul suolo europeo dagli anni ’90.
Ciascuno di questi eventi avrebbe potuto mettere a nudo debolezze strutturali. Ma l’Europa ha tenuto grazie alla sua resilienza – nelle politiche, nelle istituzioni e nell’impegno all’azione comune.
E questo mi porta alla terza analogia: abbiamo raggiunto un punto in cui i metodi tradizionali non bastano più per progredire.
L’Europa è resiliente, ma è anche vulnerabile. Il nostro è un modello economico aperto che ci espone agli shock mondiali. E sembriamo non essere in grado di ridurre tale vulnerabilità rafforzando il nostro mercato interno e consolidando la nostra crescita interna.
La ragione è in parte dovuta all’architettura dell’Europa: anche quando siamo d’accordo su ciò che va fatto, spesso la nostra governance ci impedisce di agire con sufficiente decisione. È divenuta troppo lenta, troppo complessa e troppo condizionata dai veti dei singoli Stati membri.
La soluzione non richiede una svolta rivoluzionaria. Brunelleschi non inventò nuovi materiali: utilizzò mattoni, malta e ferro del suo tempo, con tecniche che non erano state mai immaginate. L’Europa può fare altrettanto.
Possiamo sfruttare le possibilità previste dai Trattati – come le clausole “passerella” – per prendere più decisioni a maggioranza qualificata anziché all’unanimità, quando l’azione collettiva è nel nostro interesse comune.
Possiamo ricorrere al “28o regime” per l’applicazione di regole europee comuni senza dover aspettare una piena convergenza dei sistemi nazionali, permettendo agli innovatori di procedere più rapidamente.
Possiamo intensificare la collaborazione tra gruppi di paesi disposti a progredire più velocemente, non come club esclusivi, ma come pionieri il cui progresso contribuisce, in ultima analisi, al rafforzamento di tutti.
La lezione di Brunelleschi è che la visione da sola non basta. Deve essere accompagnata dalla creatività, con cui agire entro i limiti del presente.
Ciò richiede inventiva da parte dei responsabili delle politiche. “Poca favilla gran fiamma seconda”, con le parole di Dante Aligheri, un uomo che, si può ben dire, aveva un vantaggio comparato nelle parole più che nei numeri.
Brunelleschi crebbe in una cultura permeata dall’influenza dantesca. È probabile che abbia letto queste parole, traendone ispirazione per la propria creatività e ambizione. È giunto il momento per l’Europa di fare lo stesso.
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