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La definizione delle politiche in tempi di mutamenti e discontinuità

Intervento di Christine Lagarde, Presidente della BCE, all’Economic Policy Symposium “Structural Shifts in the Global Economy”, organizzato con cadenza annuale dalla Federal Reserve Bank of Kansas City a Jackson Hole

Jackson Hole, 25 agosto 2023

Negli ultimi tre anni le persone in tutto il mondo hanno risentito di una serie di shock senza precedenti, seppure in misura variabile.

Abbiamo fatto fronte alla pandemia, che ha comportato la chiusura parziale delle attività economiche a livello globale. Ci stiamo confrontando con una guerra in Europa e un nuovo panorama geopolitico, all’origine di una profonda trasformazione dei mercati dell’energia e della struttura degli scambi. Il cambiamento climatico sta accelerando, costringendoci a fare tutto il possibile per decarbonizzare l’economia.

Un effetto tangibile di questi mutamenti è il ritorno di un’inflazione elevata a livello mondiale, che ha afflitto molte persone. Le banche centrali hanno reagito inasprendo la politica monetaria e, malgrado i progressi, la battaglia contro l’inflazione non è ancora vinta.

Tuttavia questi cambiamenti potrebbero anche avere profonde implicazioni a più lungo termine. Secondo alcuni scenari plausibili, potremmo osservare un cambiamento radicale della natura delle interazioni economiche globali. In altre parole, potrebbe aprirsi un’epoca di mutamenti nelle relazioni economiche e di discontinuità nelle regolarità stabilite. Per i responsabili delle politiche investiti di un mandato di stabilità, questo quadro rappresenta una sfida significativa.

Le regolarità passate ci aiutano a comprendere la distribuzione degli shock che probabilmente ci attendono, il modo in cui tali shock si trasmetteranno nell’economia e la riposta migliore sul piano delle politiche. Ma in un’epoca nuova le regolarità passate potrebbero non fornire più un valido orientamento su come funziona l’economia.

Come possiamo quindi continuare ad assicurare la stabilità?

La sfida che dobbiamo affrontare è colta perfettamente dalle parole dal filosofo Søren Kierkegaard: “la vita può essere compresa solo guardando indietro, ma va vissuta guardando avanti”.

Dato che le nostre politiche hanno effetto con uno scarto temporale, non possiamo attendere che i parametri di questo nuovo contesto siano del tutto chiari prima di agire. Dobbiamo formarci un’idea del futuro e operare in maniera lungimirante. Ma capiremo veramente l’impatto delle nostre decisioni soltanto a posteriori. Dobbiamo quindi elaborare nuovi assetti orientati a una solida definizione delle politiche in condizioni di incertezza.

Oggi illustrerò i tre cambiamenti principali che caratterizzano il contesto attuale e il modo in cui potrebbero modificare la tipologia di shock da affrontare e la loro trasmissione nell’economia. Mi soffermerò poi sui tre elementi che in tale quadro sono fondamentali per una solida definizione delle politiche: chiarezza, flessibilità e umiltà.

Mutamenti nell’economia globale

Dall’inizio della pandemia le economie europee e mondiali hanno subito tre mutamenti che stanno trasformando i mercati globali e si stanno esplicando su orizzonti temporali diversi.

In primo luogo, assistiamo a profondi cambiamenti dei mercati del lavoro e della natura stessa del lavoro.

Le condizioni nei mercati del lavoro sono storicamente tese nelle economie avanzate e non solo a causa della forte domanda di manodopera dopo la pandemia. In alcune economie gli occupati che erano usciti dalle forze di lavoro non vi sono rientrati del tutto, sia per motivi di salute sia per le mutate preferenze[1]. In altre, come l’area dell’euro, l’occupazione ha raggiunto i massimi storici, ma le ore lavorate sono in media inferiori[2].

La pandemia ha inoltre accelerato la digitalizzazione[3], che potrebbe verosimilmente incidere sia sull’offerta di manodopera sia sulla composizione dell’occupazione. Il lavoro a distanza è aumentato[4], rendendo potenzialmente più elastica l’offerta di manodopera. Questi sviluppi coincidono ora con la rivoluzione dell’intelligenza artificiale (IA) generativa, che, come tutte le rivoluzioni tecnologiche, probabilmente farà scomparire alcuni posti di lavoro e ne creerà di nuovi.

Secondo una stima, oltre un quarto dei posti di lavoro nelle economie avanzate si basa su competenze che potrebbero essere facilmente automatizzate[5]. Tuttavia da uno studio della BCE emerge anche che nell’ultimo decennio le quote di occupazione nei lavori più esposti all’IA sono aumentate nella maggior parte dei paesi europei, confutando l’idea che la rivoluzione dell’IA comporterà necessariamente un calo dell’occupazione[6].

In secondo luogo, stiamo attraversando una transizione energetica, che unitamente all’accelerazione del cambiamento climatico sta innescando profonde trasformazioni nei mercati globali dell’energia.

Sebbene l’Europa abbia subito lo shock maggiore, anche il mix energetico globale è in continua evoluzione, poiché i fornitori che in passato hanno bilanciato il mercato si sono ritirati. Ormai da alcuni anni il settore del petrolio da scisti statunitense si sta orientando verso una strategia di crescita più lenta e minori investimenti nella capacità produttiva. E i membri dell’OPEC+ disattendono sistematicamente gli obiettivi di produzione.

Allo stesso tempo, la spinta verso le fonti rinnovabili acquista slancio ovunque, alimentata da nuove preoccupazioni per la sicurezza energetica e dal dovere di intervenire per il clima[7]. L’UE mira ora a raggiungere entro il 2030 oltre il 40% della produzione di energia da fonti rinnovabili, mentre gli Stati Uniti procedono, nel rispetto della tabella di marcia, verso l’obiettivo di soddisfare la maggior parte del fabbisogno interno di elettricità mediante energia solare ed eolica entro il 2050[8].

In terzo luogo, si aggravano le spaccature geopolitiche e l’economia globale si frammenta in blocchi concorrenti. A ciò si aggiungono crescenti livelli di protezionismo, in un contesto in cui i paesi riconfigurano le proprie catene di approvvigionamento per allinearsi ai nuovi obiettivi strategici.

Nell’ultimo decennio il numero di restrizioni commerciali in atto si è decuplicato[9], mentre si stanno ormai moltiplicando le politiche finalizzate alla rilocalizzazione delle industrie strategiche nel proprio territorio o in paesi amici. Benché ciò non abbia ancora indotto una deglobalizzazione, i segnali di un cambiamento della struttura degli scambi sono sempre più numerosi[10]. Anche la fragilità delle catene di approvvigionamento mondiali messa in luce dalla pandemia ha accelerato tale processo[11].

Questi cambiamenti, in particolare quelli legati al contesto post-pandemico e all’energia, hanno contribuito all’impennata dell’inflazione negli ultimi due anni. Hanno limitato l’offerta aggregata, indirizzando al tempo stesso la domanda verso settori soggetti a vincoli di capacità produttiva[12]. Tali disallineamenti sono emersi, almeno nella fase iniziale, nel contesto di politiche macroeconomiche fortemente espansive volte a compensare gli effetti della pandemia e hanno richiesto un rapido aggiustamento delle politiche da parte delle banche centrali.

Allo stato attuale non è chiaro se tutti questi mutamenti si riveleranno permanenti. Ma è già evidente che, in molti casi, i loro effetti sono stati più persistenti di quanto ci si aspettasse inizialmente. Emergono quindi due interrogativi importanti sulla natura delle relazioni economiche fondamentali.

Due interrogativi sulle relazioni economiche fondamentali

Il primo interrogativo è se gli shock che determinano le oscillazioni economiche muteranno.

Prima della pandemia, in genere pensavamo che l’economia procedesse lungo un percorso di crescita costante del prodotto potenziale, con variazioni determinate principalmente dalle oscillazioni della domanda del settore privato. Questo modello però potrebbe rivelarsi ormai inadeguato.

Innanzitutto, è probabile che attraverseremo un maggior numero di shock derivanti dalla stessa offerta[13].

Assistiamo già agli effetti dell’accelerazione del cambiamento climatico, che verosimilmente si tradurrà in shock dell’offerta più frequenti in futuro. Si stima che oltre il 70% delle imprese dell’area dell’euro dipenda da almeno un servizio ecosistemico[14]. È inoltre probabile che il mutato mix energetico mondiale aumenti l’entità e la frequenza degli shock dell’offerta energetica, a fronte di una minore elasticità del petrolio e del gas[15] e dei problemi, ancora irrisolti, di produzione intermittente e stoccaggio delle energie rinnovabili.

La rilocalizzazione nel proprio territorio o in paesi amici implica anche nuovi vincoli dell’offerta, soprattutto se la frammentazione degli scambi accelera prima che sia stata ricostituita la base dell’offerta nazionale. Secondo uno studio della BCE, in uno scenario di frammentazione del commercio mondiale lungo i confini geopolitici, le importazioni in termini reali potrebbero registrare una diminuzione fino al 30% a livello globale e potrebbero non essere pienamente compensate da maggiori scambi all’interno dei blocchi[16].

Allo stesso tempo, la nostra più elevata esposizione a questi shock può innescare risposte sul piano delle politiche con effetti anche sull’economia. Ma soprattutto, assisteremo probabilmente a una fase di attuazione anticipata degli investimenti con scarsa sensibilità al ciclo economico, sia perché il fabbisogno di investimenti da effettuare è pressante, sia perché il settore pubblico sarà cruciale nel realizzarli.

La transizione energetica, ad esempio, richiederà investimenti massicci in un orizzonte temporale relativamente breve: circa 600 miliardi di euro in media l’anno nell’UE fino al 2030[17]. Gli investimenti globali nella trasformazione digitale dovrebbero più che raddoppiare entro il 2026[18]. E anche il nuovo panorama internazionale richiederà un aumento significativo della spesa per la difesa: nell’UE serviranno circa 60 miliardi di euro l’anno per conseguire l’obiettivo di spesa militare della NATO, pari al 2% del PIL[19]. Anche se il capitale ad alta intensità di carbonio è ammortizzato più rapidamente[20], tutto ciò dovrebbe determinare un aumento degli investimenti netti.

Tale fase di maggiore fabbisogno di investimenti strutturali renderà più ardua la lettura delle prospettive economiche. Nell’area dell’euro, ad esempio, gli investimenti sono aumentati nel primo trimestre di quest’anno in condizioni di stagnazione del prodotto, in parte per la spesa già destinata nell’ambito del programma Next Generation EU.

Il secondo interrogativo riguarda il modo in cui questi shock si trasmettono nell’economia.

Il nuovo contesto crea le condizioni per shock sui prezzi relativi più ampi di quelli osservati prima della pandemia. Se ci troviamo ad affrontare sia un più cospicuo fabbisogno di investimenti sia maggiori vincoli dal lato dell’offerta, è probabile che assisteremo a pressioni più accentuate sui prezzi in mercati come quelli delle materie prime, in particolare per metalli e minerali cruciali per le tecnologie verdi[21]. Inoltre sarà necessario un aggiustamento dei prezzi relativi per assicurare che le risorse siano ridirette dai settori in contrazione verso quelli in espansione[22].

Le riallocazioni su vasta scala potranno anche determinare rincari nei settori in espansione che non potranno essere pienamente compensati dal calo dei prezzi nei settori in contrazione, a causa della vischiosità verso il basso dei salari nominali[23]. Le banche centrali avranno quindi il compito di mantenere le aspettative di inflazione saldamente ancorate al proprio obiettivo finché dureranno queste variazioni dei prezzi relativi.

Inoltre, in futuro, questa sfida potrebbe diventare più complessa per effetto di due cambiamenti nei processi di formazione dei prezzi e dei salari che sono subentrati con la pandemia.

In primo luogo, a fronte di considerevoli squilibri tra domanda e offerta, le imprese hanno adeguato le proprie strategie di fissazione dei prezzi. Nei recenti decenni di bassa inflazione, le imprese che hanno dovuto fronteggiare incrementi dei prezzi relativi hanno spesso temuto di perdere quote di mercato se avessero aumentato i prezzi[24]. Tuttavia la situazione è cambiata con la pandemia, poiché le imprese hanno dovuto affrontare considerevoli shock comuni, che hanno agito come un meccanismo di coordinamento implicito rispetto alle concorrenti.

In simili condizioni abbiamo riscontrato non soltanto che le imprese adegueranno i prezzi con maggiore probabilità, ma anche che lo faranno in misura notevole[25]. Questa è una motivazione importante per la quale, in alcuni settori, la frequenza delle variazioni dei prezzi è quasi raddoppiata nell’area dell’euro negli ultimi due anni rispetto a prima del 2022[26].

Il secondo cambiamento è rappresentato dalle condizioni tese nei mercati del lavoro, che ha rafforzato la possibilità dei lavoratori di recuperare le perdite di reddito reale. In precedenza, anche quando gli shock si erano trasmessi ai prezzi, il rischio di effetti di secondo impatto era rimasto contenuto date le prevalenti condizioni di persistente capacità inutilizzata nei mercati del lavoro[27]. Tuttavia, come vediamo oggi, quando i lavoratori dispongono di maggiore potere contrattuale, un’impennata dell’inflazione può innescare un “recupero” in termini di crescita salariale, suscettibile di determinare un processo di inflazione più persistente[28].

Certamente non possiamo escludere che entrambi i fenomeni siano di natura temporanea. Di fatto, nell’area dell’euro si riscontrano già alcuni segnali di revisioni meno frequenti dei prezzi da parte delle imprese, seppure in un contesto caratterizzato da una diminuzione dei prezzi dei beni energetici e degli altri input[29]. È altresì possibile che vengano meno le condizioni tese nei mercati del lavoro con il rallentamento dell’economia, il riassorbirsi degli squilibri tra domanda e offerta creati dalla pandemia e un aumento dell’offerta di lavoro determinato, nel corso del tempo, dalla digitalizzazione, anche per effetto di una riduzione delle barriere all’ingresso[30].

Ma dobbiamo anche essere aperti alla possibilità che alcuni di questi cambiamenti durino più a lungo. Se l’offerta a livello mondiale diventerà meno elastica, anche nei mercati del lavoro[31], e la concorrenza globale si ridurrà, dovremmo aspettarci che i prezzi assumano un ruolo più rilevante nel processo di aggiustamento. Inoltre, se dovremo anche affrontare shock più forti e più comuni, come quelli energetici[32] e geopolitici, potremmo assistere a una trasmissione più sistematica degli aumenti dei costi da parte delle imprese.

In tale contesto dovremo prestare la massima attenzione affinché una maggiore volatilità dei prezzi relativi non sfoci in inflazione a medio termine a causa di ripetute “rincorse” dei salari rispetto ai prezzi. Ciò potrebbe rendere l’inflazione più persistente se gli aumenti attesi dei salari venissero quindi incorporati nelle decisioni sui prezzi delle imprese, dando luogo a quella che ho definito un’inflazione generata da una “spirale di ritorsioni”[33].

Una solida definizione delle politiche in tempi di mutamenti e discontinuità

In questi tempi di mutamenti e discontinuità, in cui non sappiamo ancora se stiamo facendo ritorno al vecchio mondo o se ne sta aprendo uno nuovo, come possiamo assicurarci di elaborare politiche ancora solide?

A mio parere, gli elementi chiave sono tre: chiarezza, flessibilità e umiltà.

In primo luogo, dobbiamo spiegare con chiarezza il nostro obiettivo e il fermo impegno a realizzarlo.

La chiarezza sarà importante per stabilire il ruolo adeguato della politica monetaria a fronte delle transizioni in corso. Dobbiamo essere chiari riguardo al fatto che la stabilità dei prezzi è un pilastro fondamentale di un contesto favorevole agli investimenti. In un mondo che cambia, la politica monetaria non deve diventare essa stessa una fonte di incertezza.

Ciò sarà essenziale per preservare il saldo ancoraggio delle aspettative di inflazione anche in presenza di deviazioni temporanee dal nostro obiettivo, come potrebbe accadere in un’economia più soggetta a shock. E sarà altrettanto fondamentale per salvaguardare la fiducia dei cittadini riguardo al fatto che, anche in circostanze nuove, non perderemo di vista il nostro obiettivo. Dobbiamo mantenere l’inflazione al 2% nel medio termine e lo faremo.

Ma per poter raggiungere i nostri obiettivi ci occorre flessibilità sul piano analitico.

Non possiamo portare avanti una politica basata su regole semplici o obiettivi intermedi in un contesto economico incerto[34]. Ciò significa che non possiamo basarci esclusivamente su modelli stimati a partire da vecchi dati, cercando di mettere a punto la nostra politica attorno a previsioni puntuali. Al tempo stesso dobbiamo anche evitare la trappola di concentrarci troppo sui dati attuali e “guidare guardando nello specchietto retrovisore”, poiché è probabile che ciò renderebbe la politica monetaria una forza reattiva anziché stabilizzatrice.

Al contrario, dovremo predisporre quadri di riferimento che colgano la complessità che ci troviamo ad affrontare e ci tutelino sotto questo punto di vista, come le banche centrali stanno già iniziando a fare. Per quanto riguarda la BCE, abbiamo stabilito che le nostre decisioni future di politica monetaria dipenderanno da tre criteri: le prospettive di inflazione, la dinamica dell’inflazione di fondo e l’intensità della trasmissione della politica monetaria.

Questi tre criteri contribuiscono ad attenuare l’incertezza che circonda le prospettive a medio termine combinando le proiezioni dei nostri esperti sull’inflazione, la tendenza che possiamo derivare dall’inflazione di fondo e l’efficacia delle nostre misure di politica monetaria nel contrastare tale tendenza. In prospettiva, mi aspetto che questo tipo di approccio “plurimo” sarà necessario per calibrare efficacemente la politica monetaria. Tuttavia occorrerà anche migliorare questo processo attraverso il regolare aggiornamento dei nostri modelli e delle nostre tecnologie di previsione[35], nonché mediante un’analisi più approfondita delle variabili che fungono da migliori indicatori anticipatori[36].

Il terzo elemento essenziale in questo nuovo contesto è l’umiltà. Se, da un lato, dobbiamo continuare a impegnarci per affinare il nostro quadro a medio termine, dall’altro dobbiamo anche fare chiarezza riguardo ai limiti delle nostre attuali conoscenze e dei risultati che possiamo ottenere con la nostra politica. Se vogliamo mantenere la nostra credibilità nei confronti del pubblico, dovremo parlare del futuro mettendo meglio a fuoco l’incertezza che stiamo affrontando.

La BCE si sta già muovendo in questa direzione nel suo processo di previsione, ma c’è ancora strada da fare. Abbiamo pubblicato analisi di sensibilità per variabili chiave come i prezzi dei beni energetici e i salari e abbiamo utilizzato analisi di scenario durante la pandemia e dopo l’inizio della guerra in Ucraina. Stiamo anche cercando di essere più trasparenti nel rendere conto dei nostri errori di previsione.

La ricerca indica che le famiglie si fidano meno delle previsioni della banca centrale se di recente non hanno trovato riscontro nei fatti[37], ma possiamo mitigare questo problema ponendo in maggiore risalto i fattori da cui esse dipendono e spiegando meglio gli errori. Per questo motivo, gli esperti della BCE hanno iniziato a pubblicare i principali fattori alla base dei nostri errori di previsione sull’inflazione e intendiamo continuare a farlo[38].

Conclusioni

Non esiste una guida da seguire nella situazione che ci troviamo ad affrontare oggi: il nostro compito è scriverne le pagine ex novo.

Per la definizione delle politiche in un’epoca di mutamenti e discontinuità occorre una mente aperta e la volontà di adeguare i nostri quadri analitici in tempo reale ai nuovi sviluppi. Al tempo stesso, in questa epoca di incertezza, è ancora più importante che le banche centrali forniscano un’ancora nominale per l’economia e assicurino la stabilità dei prezzi in linea con i rispettivi mandati.

Nelle circostanze attuali ciò significa, per la BCE, fissare i tassi di interesse a livelli sufficientemente restrittivi per il periodo necessario a conseguire un ritorno tempestivo dell’inflazione al nostro obiettivo a medio termine del 2%.

In prospettiva, dobbiamo rimanere chiari nei nostri obiettivi, flessibili nella nostra analisi e umili nel modo in cui comunichiamo. Come sosteneva John Maynard Keynes, “la difficoltà non sta nelle nuove idee, ma nel fuggire dalle vecchie”.

  1. Questo effetto è più evidente negli Stati Uniti che nell’area dell’euro. Cfr. Botelho, V. e Weißler, M. (2022), “COVID-19 e decisioni di pensionamento dei lavoratori in età più avanzata nell’area dell’euro”, Bollettino economico, numero 6, BCE; Faria e Castro, M. e Jordan-Wood, S. (2023), “Excess Retirements Continue despite Ebbing COVID-19 Pandemic”, On The Economy Blog, Federal Reserve Bank of St. Louis, 22 giugno.

  2. Arce, O., Consolo, A., Dias da Silva, A. e Mohr, M. (2023), “More jobs but fewer working hours”, Il Blog della BCE, 7 giugno.

  3. Jaumotte, F. et al. (2023), “Digitalization During the COVID-19 Crisis: Implications for Productivity and Labor Markets in Advanced Economies”, Staff Discussion Notes, n. 2023/003, FMI, 13 marzo. Le implicazioni della digitalizzazione per i mercati del lavoro e altri aspetti dell’economia sono trattati anche in Dedola, L. et al. (2023), “Digitalisation and the economy”, Working Paper Series, n. 2809, BCE, aprile.

  4. Cfr. Dias da Silva, A. et al. (2023), “Come le persone vogliono lavorare: preferenze per il lavoro da remoto dopo la pandemia”, Bollettino economico, numero 1, BCE.

  5. OCSE (2023), Employment Outlook 2023.

  6. Albanesi, S. et al. (2023), “New technologies and jobs in Europe”, Working Paper Series, n. 2831, BCE, luglio.

  7. Cfr. anche Breckenfelder, J. et al. (2023), “The climate and the economy”, Working Paper Series, n. 2793, BCE, marzo.

  8. U.S. Energy Information Administration (2023), “Annual Energy Outlook 2023”, 16 marzo.

  9. Confronto tra il 2012 e il 2022. In particolare, restrizioni commerciali per beni, investimenti e servizi. I dati menzionati riguardano le sole esportazioni. Cfr. Georgieva, K. (2023), “Confronting Fragmentation Where It Matters Most: Trade, Debt, and Climate Action”, IMF Blog, 16 gennaio.

  10. Alfaro, L. e Chor, D. (2023), “Global Supply Chains: The Looming ‘Great Reallocation’”, studio presentato al Jackson Hole Economic Policy Symposium 2023, organizzato dalla Federal Reserve Bank of Kansas City, agosto.

  11. Lebastard, L., Matani, M. e Serafini, R., “GVC exporter performance during the COVID-19 pandemic: the role of supply bottlenecks”, Working Paper Series, n. 2766, BCE, gennaio 2023.

  12. Cfr. Ferrante, F. Graves, S. e Iacoviello, M. (2023), “The inflationary effects of sectoral relocation”, Journal of Monetary Economics, di prossima pubblicazione.

  13. Questa nuova situazione presenta analogie con il paradigma del “ciclo economico reale” che, tra la fine degli anni ’70 e gli anni ’80, postulava che le economie fossero costantemente colpite non da turbative della domanda (come nelle contrapposte tradizioni keynesiana e monetarista), ma da shock sulla produttività reale che si ripercuotevano sul potenziale economico e compensavano le oscillazioni del ciclo economico. Cfr. Kydland, F. e Prescott, E. (1982), “Time to Build and Aggregate Fluctuations”, Econometrica, vol. 50, n. 6, novembre, pagg. 1345-1370.

  14. Tra gli esempi di servizi ecosistemici figurano i prodotti ottenuti dagli ecosistemi quali alimenti, acqua potabile, legname e minerali, la protezione da calamità naturali oppure l’assorbimento e lo stoccaggio di carbonio da parte della vegetazione. Cfr. Elderson, F. (2023), “The economy and banks need nature to survive”, Il Blog della BCE, 8 giugno.

  15. Balke, N., Jin, X. e Yücel, M. (2020), “The Shale Revolution and the Dynamics of the Oil Market”, Working Papers, n. 2021, Federal Reserve Bank of Dallas, giugno.

  16. Attinasi, M.-G., Boeckelmann, L. e Meunier, B. (2023), “The economic costs of supply chain decoupling”, Working Paper Series, n. 2839, BCE, agosto.

  17. Commissione europea (2023), “Relazione di previsione strategica 2023”, luglio.

  18. International Data Corporation (2022), “IDC Spending Guide Sees Worldwide Digital Transformation Investments Reaching $3.4 Trillion in 2026”, 26 ottobre.

  19. Dati della NATO. Questa cifra non include i quattro paesi dell’UE non appartenenti alla NATO (Irlanda, Cipro, Austria e Malta).

  20. FMI (2022), Near-Term Macroeconomic Impact of Decarbonization Policies”, World Economic Outlook, ottobre; per una quantificazione dell’impatto delle imposte relative alle emissioni di carbonio sugli investimenti privati, cfr. Brand, C. et al. (2023), “Le implicazioni macroeconomiche della transizione verso un’economia a basse emissioni di anidride carbonica”, Bollettino economico, numero 5, BCE.

  21. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia, uno sforzo concertato per raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi comporterebbe un fabbisogno quadruplicato di minerali per le tecnologie energetiche pulite entro il 2040. Cfr. IEA (2021), “The Role of Critical Minerals in Clean Energy Transitions”, maggio.

  22. In aggiunta agli effetti dell’IA e della digitalizzazione di cui sopra, la transizione verso emissioni nette di carbonio pari a zero potrebbe risultare in un guadagno di circa 200 milioni di posti di lavoro a fronte di una perdita di circa 185 milioni di posti di lavoro a livello globale entro il 2050. Cfr. McKinsey (2022), “The net-zero transition: What it would cost, what it could bring”, gennaio.

  23. Olivera, J.H.G. (1964), “On Structural Inflation and Latin-American ‘Structuralism’”, Oxford Economic Papers, vol. 16, n. 3, novembre, pagg. 321-332; Guerrieri, V., Lorenzoni, G., Straub, L. e Werning, I. (2021), “Monetary Policy in Times of Structural Reallocation”, Proceedings of the 2021 Jackson Hole Symposium.

  24. Koester, G., Lis, E., Nickel, C., Osbat, C. e Smets, F. (2021), “Understanding low inflation in the euro area from 2013 to 2019: cyclical and structural drivers”, Occasional Paper Series, n. 280, BCE, settembre. Per una trattazione della relazione tra margini e trasmissione degli shock, cfr. Kouvavas, O., Osbat, C., Reinelt, T. e Vansteenkiste, I. (2021), “Markups and inflation cyclicality in the euro area”, Working Paper Series, n. 2617, BCE, novembre e, per quanto riguarda la trasmissione dei salari ai prezzi, cfr. Hahn, E. (2019), “How are wage developments passed through to prices in the euro area? Evidence from a BVAR model”, Applied Economics, vol. 53, n. 22, novembre, pagg. 2467-2485; Hahn, E. (2020), “The wage-price pass-through in the euro area: does the growth regime matter?”, Working Paper Series, n. 2485, BCE, ottobre; Bobeica, E., Ciccarelli, M. e Vansteenkiste, I. (2019), “The link between labor cost and price inflation in the euro area”, Working Paper Series, n. 2235, BCE, febbraio.

  25. Molte imprese dell’area dell’euro avevano adottato strategie di determinazione dei prezzi più dinamiche nel 2022 e anche per il futuro prospettavano revisioni dei prezzi più frequenti del solito nel 2023. Cfr. Elding, C. et al. (2023), “Principali evidenze emerse dai recenti contatti della BCE con le società non finanziarie”, Bollettino economico, numero 1, BCE.

  26. Cavallo, A., Lippi, F. e Miyahara, K. (2023), “Inflation and misallocation in New Keynesian models”, documento presentato all’ECB Forum on Central Banking, Sintra, giugno.

  27. Koester, G. et al. (2021), op. cit.; Baba, C. e Lee, J. (2022), “Second-Round Effects of Oil Price Shocks – Implications for Europe’s Inflation Outlook”, IMF Working Papers, n. 2022/173, FMI, settembre.

  28. Lagarde, C. (2023), “Spezzare la persistenza dell’inflazione”, intervento in occasione dell’ECB Forum on Central Banking 2023 sul tema “Stabilizzazione macroeconomica in un contesto di inflazione volatile”, Sintra (Portogallo), 27 giugno.

  29. Banque de France (2023), “Monthly business survey – Start of June 2023”.

  30. La digitalizzazione accresce anche le opportunità di esternalizzare i servizi intermedi ai mercati emergenti. Cfr. Baldwin, R. (2022), “Globotics and macroeconomics: Globalisation and automation of the service sector”, documento presentato all’ECB Forum on Central Banking, Sintra, giugno.

  31. L’offerta di lavoro potrebbe diminuire per effetto della frammentazione geopolitica (che renderebbe i mercati del lavoro meno “contendibili”), di un possibile calo della migrazione o di un ulteriore invecchiamento delle forze di lavoro. Cfr. ad esempio Freier, M., Lichtenauer, B. e Schroth, J. (2023), “Tendenze demografiche secondo le proiezioni EUROPOP2023 e relative implicazioni economiche per l’area dell’euro”, Bollettino economico, numero 3, BCE.

  32. A più lungo termine, la transizione alle fonti rinnovabili potrebbe rendere l’approvvigionamento energetico di nuovo più elastico e più economico.

  33. Arce, O., Hahn, E. e Koester, G. (2023), “How tit-for-tat inflation can make everyone poorer”, Il Blog della BCE, 30 marzo; Hahn, E. (2023), “Il contributo degli utili unitari al recente rafforzamento delle pressioni interne sui prezzi nell’area dell’euro”, Bollettino economico, numero 4, BCE.

  34. Per una critica a questo approccio nella definizione delle politiche, cfr. Faust, J. e Leeper, E. (2015), “The Myth of Normal: The Bumpy Story of Inflation and Monetary Policy”, documento presentato al Jackson Hole Economic Policy Symposium 2015 organizzato dalla Federal Reserve Bank of Kansas City, agosto.

  35. Cfr. ad esempio le recenti ricerche della BCE sull’applicazione dei modelli random forest all’inflazione: Lenza, M., Moutachaker, I. e Paredes, J. (2023), “Density forecasts of inflation: a quantile regression forest approach”, Working Paper Series, n. 2830, BCE.

  36. Bańbura, M. et al. (2023), “Misure dell’inflazione di fondo: una guida analitica per l’area dell’euro”, Bollettino economico, numero 5, BCE.

  37. McMahon, M. e Rholes, R. (2023), “Building Central Bank Credibility: The Role of Forecast Performance", mimeo, University of Oxford.

  38. Chahad, M., Hofmann-Drahonsky, A.-C., Meunier, B., Page, A. e Tirpák, M. (2022), “A cosa si devono i recenti errori nelle proiezioni di inflazione formulate dagli esperti dell’Eurosistema e della BCE?”, Bollettino economico, numero 3, BCE; Chahad, M., Hofmann-Drahonsky, A.-C., Page, A. e Tirpák, M. (2023), “Una valutazione aggiornata delle proiezioni di inflazione a breve termine formulate dagli esperti dell’Eurosistema e della BCE”, Bollettino economico, numero 1, BCE.

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