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La politica monetaria nell’area dell’euro

Karl Otto Pöhl Lecture di Christine Lagarde, Presidente della BCE, organizzata dalla Frankfurter Gesellschaft für Handel, Industrie und Wissenschaft

Francoforte sul Meno, 20 settembre 2022

Sono onorata di essere qui questa sera per tenere la Karl Otto Pöhl Lecture sul tema della politica monetaria nell’area dell’euro.

Dopo un prolungato periodo in cui l’inflazione è stata eccessivamente bassa nell’area dell’euro, ora ha raggiunto livelli di gran lunga troppo elevati. Siamo al decimo mese consecutivo di tassi record di inflazione e questo andamento si potrebbe protrarre nel breve termine.

All’origine vi sono una serie di shock senza precedenti, che hanno determinato punti di svolta nell’economia mondiale. Le pressioni sui prezzi si sono quindi dimostrate molto più forti e persistenti di quanto inizialmente previsto.

In questo contesto, i responsabili della politica monetaria devono assicurare che l’inflazione non si radichi nell’economia e si riporti all’obiettivo nel medio termine. La nostra risposta di politica monetaria dovrà inoltre tenere conto della particolare combinazione di shock che colpisce l’area dell’euro.

Nel mio intervento di questa sera mi soffermerò su due aspetti:

in primo luogo, la natura dello shock inflazionistico che ci troviamo ad affrontare oggi nell’area dell’euro e, in secondo luogo, le sue implicazioni per la politica monetaria nel presente e nel futuro.

Gli shock che colpiscono l’economia dell’area dell’euro

Nel quadro della nostra strategia di politica monetaria, la risposta adeguata a una deviazione dell’inflazione dal nostro obiettivo è dettata da tre fattori: l’origine, l’ampiezza e la persistenza di tale deviazione.

In generale, quando all’origine di uno shock inflazionistico vi è principalmente l’andamento della domanda, la politica monetaria risponderà in modo proattivo per impedire il surriscaldamento dell’economia. In caso di shock dal lato dell’offerta, invece, nella misura in cui non se ne ravvisi un impatto duraturo sull’inflazione, le banche centrali “guarderanno oltre” ed estenderanno l’orizzonte di medio periodo della politica monetaria, se necessario.

Una scissione così netta non appare tuttavia adeguata per descrivere la situazione che dobbiamo affrontare oggi nell’area dell’euro.

Non assistiamo al tipo di surriscaldamento indotto dalla domanda che si osserva negli Stati Uniti e, malgrado condizioni tese del mercato del lavoro, il rischio di una spirale salari-prezzi finora sembra restare contenuto.

L’area dell’euro vede piuttosto un aumento dell’inflazione sospinto da due shock senza precedenti. Questi shock hanno limitato l’offerta a livello mondiale, ma hanno anche determinato una ricomposizione della domanda e generato un’ampia e persistente risposta inflazionistica.

Il primo shock è stato la pandemia. Le strozzature dal lato dell’offerta legate alla pandemia e l’aumento dei prezzi si sono rafforzati a vicenda e le imprese hanno reagito al rischio di approvvigionamento accrescendo e anticipando gli ordini. Questo “effetto frusta”[1] ha comportato rincari lungo la catena di formazione dei prezzi.

Al tempo stesso, la risposta della politica monetaria e delle politiche di bilancio alla pandemia è riuscita a salvaguardare i redditi nominali, sostenendo quindi una rapida ripresa della domanda alla riapertura delle nostre economie. La tenuta dei redditi ha, a sua volta, innescato ampi spostamenti della domanda fra settori.

Nel periodo del lockdown, in particolare grazie al commercio elettronico, i consumi si sono concentrati sui beni durevoli. In seguito, con la riapertura dell’economia, abbiamo assistito a una forte domanda latente di servizi. Dall’inizio della pandemia la variabilità dei consumi di beni durevoli è stata quasi dieci volte superiore rispetto ai due decenni precedenti e quasi 30 volte maggiore per i servizi.

L’inflazione ha quindi investito in modo generalizzato sia i beni industriali sia i servizi. Oggi circa tre quarti delle voci comprese nel paniere dell’inflazione di fondo registrano tassi di incremento dei prezzi superiori al 2%.

Il secondo shock è stato l’ingiustificabile invasione dell’Ucraina da parte della Russia.

Ancor prima dell’invasione, l’offerta di energia risentiva già dei tagli alla produzione dei paesi OPEC+ e dei vincoli di finanziamento per i produttori statunitensi di petrolio di scisto. L’impennata dei prezzi dei beni energetici che ne è derivata ha pesato in misura notevole sulla sottostima dell’inflazione[2].

L’invasione, tuttavia, ha enormemente aggravato la carenza di forniture e ha spinto i prezzi dei beni energetici su livelli straordinari, rendendo particolarmente difficile formulare previsioni per l’inflazione. I prezzi di gas ed elettricità sul mercato europeo sono aumentati rispettivamente del 105% e del 75% dai mesi prima dell’invasione[3] e di circa il 650% e il 450% dalla prima metà del 2021.

Questa impennata delle quotazioni dei beni energetici ha direttamente contribuito per circa il 30% al tasso di inflazione complessiva dall’inizio del 2022, mentre indirettamente ha accentuato l’ampliamento generalizzato delle pressioni sui prezzi nell’economia. I modelli utilizzati dalle banche centrali nazionali indicano infatti che gli effetti indiretti dei rincari dell’energia contribuiscono attualmente per circa un terzo all’inflazione di fondo.

La persistenza dell’inflazione

Nell’insieme, questi shock hanno determinato una marcata deviazione dell’inflazione rispetto al nostro obiettivo. L’inflazione complessiva, ancora negativa fino a dicembre del 2020, è aumentata di 9,4 punti percentuali dal valore minimo osservato durante la pandemia fino al picco del mese scorso. L’inflazione di fondo ha registrato un incremento di 4,1 punti percentuali.

Nel recente passato l’elasticità dell’offerta a livello mondiale ha fatto sì che gli shock sulla produzione o sull’energia finissero per riassorbirsi. In seguito all’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq negli anni ’90, ad esempio, i corsi petroliferi sono scesi al di sotto del livello precedente la guerra dopo circa cinque mesi. In seguito al terremoto e al disastro nucleare del 2011 in Giappone, si stima che la produzione delle imprese giapponesi sia tornata alla normalità a distanza di soli sette mesi[4].

Tuttavia, gli shock innescati dalla pandemia e dalla guerra hanno anche ridisegnato quella che ho già definito una “nuova mappa mondiale” delle relazioni economiche[5]. Per effetto dei punti di svolta economici su questa nuova mappa mondiale è probabile che le strozzature dell’offerta perdureranno più a lungo che in passato. Ciò significa, a sua volta, che il riassorbimento degli effetti inflazionistici di tali shock richiede più tempo.

Richiamerei quindi l’attenzione su due aspetti.

Innanzitutto, la situazione geopolitica ha sconvolto i mercati europei dell’energia.

I tagli alle forniture di gas in seguito all’invasione perpetrata dalla Russia hanno dato luogo a un importante cambiamento strutturale, che avrà ricadute per diversi anni. Dopo i due shock petroliferi degli anni ’70, l’embargo imposto dall’OPEC e la rivoluzione iraniana, gli effetti sui prezzi del petrolio persistevano, ad esempio, ancora a distanza di tre anni. In entrambi i casi, infatti, gli shock erano connessi a un cambiamento duraturo del panorama geopolitico e le riduzioni delle forniture di greggio non potevano essere pienamente compensate attingendo ad altre fonti della stessa risorsa[6].

Attualmente, sebbene la risposta dell’UE arginerà il rincaro dell’energia, è probabile che i prezzi dei combustibili fossili siano più elevati per un certo periodo di tempo. Supplire per intero alle importazioni europee di combustibili fossili dalla Russia è difficile nel breve termine, malgrado esempi sempre più numerosi di effetti di sostituzione[7].

A più lungo termine è probabile che la guerra imprima un’accelerazione alla transizione verde in Europa, in particolare al passaggio alle energie rinnovabili. Ciò richiederà ingenti investimenti verdi, ma si ripercuoterà anche sugli investimenti nella produzione di petrolio e gas durante il periodo di transizione, esercitando possibili pressioni al rialzo sui prezzi dei combustibili fossili a fronte di una domanda ancora elevata.

Se le quotazioni dei beni energetici dovessero risultare persistentemente più elevate durante la transizione, potrebbe risentirne la produzione industriale in Europa, sia in termini di offerta che di prezzi. Questa è certamente la percezione delle imprese dell’area dell’euro. A una recente indagine della BCE almeno l’80% degli intervistati ha risposto che, a seguito della transizione in atto, si attendeva un rincaro delle materie prime e dell’energia utilizzate, con un conseguente rialzo dei prezzi dei propri prodotti[8].

In secondo luogo, la globalizzazione sta cambiando e cambierà ancora.

Le perturbazioni causate dalla pandemia, il manifestarsi di vulnerabilità, il nuovo panorama geopolitico e la prospettiva di rincari dell’energia e dei trasporti sembrano destinati a indurre una ridefinizione delle catene globali del valore.

Pur dubitando che assisteremo a una deglobalizzazione, è probabile che le imprese accumulino maggiori scorte in via permanente e accorcino le catene di approvvigionamento trasferendo servizi di elevato valore e centri di ricerca e sviluppo, in particolare laddove entrino in gioco considerazioni strategiche. È anche possibile che vengano trasferite attività produttive ad alto consumo di energia in seguito all’impatto disomogeneo dell’attuale shock sui prezzi dei beni energetici. Inoltre, la rapidità della transizione e la nuova composizione delle fonti energetiche contribuiranno a sostanziali trasformazioni.

Da una recente indagine è emerso che circa il 60% delle imprese aveva incrementato le scorte di beni critici entro la fine del 2021 e quasi il 90% prospettava una regionalizzazione della produzione nell’arco dei tre anni seguenti[9]. Le probabili conseguenze in termini di riduzione di efficienza e aumento dei costi potrebbero generare pressioni inflazionistiche nella fase di adeguamento delle catene di approvvigionamento. Anche il ciclo economico potrebbe risultare più variabile[10].

Nel corso del tempo, tuttavia, i punti di svolta che ho indicato potrebbero anche attenuare l’impatto sui prezzi. La transizione verde, ad esempio, dovrebbe avere come esito finale una diminuzione dei prezzi dell’energia elettrica. Inoltre, nella misura in cui sarà ripristinato, il ciclo delle scorte eserciterà un effetto di moltiplicazione sulla riduzione dei prezzi nelle fasi di rallentamento economico caratterizzate dalla liquidazione delle scorte.

La risposta di politica monetaria della BCE

In sintesi, quindi, ci troviamo ad affrontare una situazione in cui persistenti vincoli dal lato dell’offerta contribuiscono in misura rilevante a prolungare la durata di livelli di inflazione superiori al nostro obiettivo, i cui effetti sono acuiti dal liberarsi della domanda latente. In questo contesto, la politica monetaria deve evitare il radicarsi di deviazioni rispetto al nostro obiettivo e riportare l’inflazione al 2% nel medio periodo.

Due considerazioni sono importanti a questo punto.

La prima riguarda la destinazione della politica monetaria: dobbiamo normalizzare la politica monetaria e tenerci pronti ad adeguare i tassi nella misura necessaria a raggiungere il nostro obiettivo di inflazione a medio termine.

La seconda considerazione pertiene al ritmo di innalzamento dei tassi: poiché stiamo aumentando i tassi di interesse a partire da livelli molto bassi, il ritmo a cui li innalziamo può direttamente attivare il canale di segnalazione della politica monetaria.

Vorrei approfondire entrambi i punti.

La destinazione della politica monetaria

Innanzitutto, quando l’inflazione è elevata e la crescita è frenata da un’offerta inelastica, la politica monetaria non può rimanere espansiva e accrescere le pressioni inflazionistiche spingendo al rialzo la domanda. È quindi appropriato perseguire una strategia di normalizzazione della politica monetaria. Come ho esposto alcuni mesi fa in un post nel Blog della BCE[11], la normalizzazione implica la fine degli acquisti netti di attività e successivamente l’innalzamento dei tassi su livelli neutrali, che non siano cioè né espansivi né restrittivi.

È per questo motivo che la BCE non ha soltanto iniziato ad aumentare i tassi di interesse, ma ha anche comunicato l’aspettativa di innalzarli ulteriormente nelle successive riunioni. Inoltre, per assicurare che tali modifiche nell’intonazione della nostra politica monetaria risultino efficaci, abbiamo assunto diverse decisioni negli ultimi mesi intese a preservarne la trasmissione ordinata in tutta l’area dell’euro[12].

Successivamente riesamineremo se la strategia di normalizzazione sia sufficiente a ricondurci a un’inflazione del 2% nel medio periodo. In conclusione, il tasso raggiunto il quale terminerà il nostro ciclo di incrementi dovrà essere compatibile con il ritorno duraturo dell’inflazione al nostro obiettivo; questo tasso finale dipenderà dall’evoluzione del contesto economico.

Un fattore fondamentale sarà il modo in cui la persistenza degli shock che stiamo affrontando influenzerà le aspettative di inflazione e il prodotto potenziale. Se vi fossero segnali di rischio di disancoraggio delle aspettative di inflazione per effetto del livello elevato dell’inflazione, il tasso di interesse di riferimento compatibile con il nostro obiettivo si situerebbe in territorio restrittivo. Analogamente, se dovessimo concludere che i persistenti shock dal lato dell’offerta abbiano ridotto durevolmente il potenziale economico, occorrerebbe assicurare che la domanda resti allineata all’offerta.

Un altro fattore fondamentale sarà il modo in cui le prospettive di crescita incidono sull’inflazione. Shock negativi dal lato dell’offerta determineranno un rallentamento della crescita, con probabili ricadute sul tasso di inflazione prevalente. Nelle recessioni registrate nell’area dell’euro a risalire dagli anni ’70, l’inflazione complessiva è diminuita di circa 1,1 punti percentuali a distanza di un anno, mentre l’inflazione di fondo è scesa di circa la metà[13].

Questa però non è una regola assoluta: in alcuni episodi recessivi, come quelli innescati da un peggioramento delle condizioni dal lato dell’offerta, l’inflazione è rimasta invariata o è addirittura aumentata. Nello scenario meno favorevole delle nostre proiezioni, che coglie tra i vari shock anche l’impatto di un’interruzione completa delle forniture di gas russo, l’economia si contrarrà l’anno prossimo per poi recuperare nel 2024. Ma alla fine dell’orizzonte di riferimento l’inflazione raggiungerebbe livelli più elevati che nello scenario di base[14].

Un terzo fattore sarà l’azione dei governi. La politica monetaria farà tutto ciò che sarà necessario per riportare l’inflazione al nostro obiettivo. Tuttavia un approccio autenticamente europeo, in cui la politica monetaria e le politiche di bilancio si complementano, può migliorare le prospettive di inflazione.

In particolare, il modo in cui le politiche di bilancio sosterranno imprese e famiglie nel prossimo difficile inverno sarà importante per le dinamiche dell’inflazione. Misure mirate, temporanee e puntuali sono necessarie per tutelare i redditi dei soggetti più vulnerabili, prevenendo al tempo stesso una perdita significativa di capacità produttiva in seguito a tagli alla produzione e fallimenti.

Al di là di questo, ciò che farà la differenza sarà tuttavia la decisione di concentrare le politiche di bilancio principalmente sui trasferimenti e sui consumi pubblici – cosa che potrebbe accrescere le spinte inflazionistiche – oppure sugli investimenti pubblici e sulla sostenibilità del debito. Poiché numerose determinanti dell’inflazione si situano oggi dal lato dell’offerta, per promuovere una crescita sostenibile i governi devono perseguire politiche che promuovano l’offerta e reindirizzino gli investimenti ove è necessario.

Il ritmo di innalzamento dei tassi

La seconda considerazione nella risposta da dare all’attuale inflazione riguarda il ritmo di innalzamento dei tassi.

Quando l’inflazione è elevata per un periodo prolungato, la politica monetaria ha il ruolo importante di assicurare che le aspettative di inflazione restino ancorate mentre gli shock si trasmettono all’economia. Se le aspettative si disancorano e si innesca una spirale salari-prezzi, l’inflazione può farsi persistente anche dopo il venire meno degli shock.

Aumentare i tassi di interesse ha un effetto meccanico sulla domanda e sull’inflazione e quindi anche sulle aspettative di inflazione. Ma quando i tassi di interesse partono da livelli insolitamente bassi, il loro innalzamento sarà più efficace se genererà anche effetti di segnalazione che influenzano le aspettative direttamente.

In tale contesto, in particolare rispetto ai tradizionali incrementi di 25 punti base, adeguare il ritmo di innalzamento dei tassi è uno strumento fondamentale per segnalare la nostra determinazione ad adempiere al mandato a noi conferito e a mantenere contenute le aspettative di inflazione. Accelerare all’inizio del ciclo di innalzamento è la chiara espressione del nostro impegno a ridurre l’inflazione fino al nostro obiettivo di medio termine.

Al momento le aspettative di inflazione desunte da una serie di misure rimangono relativamente ben ancorate. Ma vi sono due motivi per cui sarebbe imprudente dare per scontato tale ancoraggio.

In primo luogo, lo shock colpisce fortemente i prezzi dei beni di consumo, come i generi alimentari e la benzina, che esercitano la maggiore influenza sulle aspettative di inflazione delle famiglie[15]. L’indagine della BCE sulle aspettative dei consumatori mostra che, dal febbraio di quest’anno, sia la media che la mediana delle aspettative di inflazione a tre anni sono aumentate di circa 1 punto percentuale.

In secondo luogo, assistiamo a una rapida trasformazione del contesto economico, in cui l’inflazione è passata da livelli molto bassi a valori estremamente elevati. La storia ci insegna che ciò può lasciare cicatrici sulle aspettative.

Ad esempio, dalle ricerche emerge che le differenze nelle aspettative di inflazione tra gli abitanti dell’ex Germania dell’est e dell’ovest sono in larga parte riconducibili all’effetto persistente dello shock inflazionistico dopo la riunificazione. Tale fenomeno era in netto contrasto con la normalità percepita di un tasso di inflazione pari a zero nella Repubblica Democratica Tedesca e sembra aver indotto i tedeschi dell’est a un eccessivo adeguamento a un contesto di aumento dei prezzi[16].

Questo imperativo di ancorare le aspettative di inflazione contribuisce a spiegare perché, nelle ultime due riunioni del Consiglio direttivo della BCE, abbiamo innalzato i tassi di interesse di riferimento in totale di 125 punti base. È il ritmo di innalzamento più rapido della nostra storia e ha inviato un segnale forte riguardo alla nostra determinazione a ricondurre tempestivamente l’inflazione al nostro obiettivo di medio termine. Questo intervento sostanziale ha altresì tenuto conto del livello insolitamente basso dei tassi di interesse e del rischio limitato di una reazione eccessiva all’inizio del ciclo di incrementi.

In futuro, il ritmo adeguato dei prossimi aumenti sarà deciso di volta in volta a ogni riunione. Come più volte sottolineano, continueremo infatti a essere guidati dai dati in tutti gli scenari. Il livello su cui si collocheranno in ultimo i tassi e l’entità dei nostri interventi dipenderanno dall’evolvere delle prospettive di inflazione man mano che procederemo.

Conclusioni

L’inflazione nell’area dell’euro si è dimostrata molto più elevata e persistente di quanto inizialmente previsto, per effetto della serie di shock senza precedenti che ci hanno colpito e dei punti di svolta che essi hanno determinato nel nostro contesto economico.

La politica monetaria non può evitare gli effetti di primo impatto di molti di questi shock. Ma può assicurare che non si radichino nell’economia. È questo ciò che sta facendo la BCE.

Anticipando gli aumenti dei tassi di riferimento abbiamo compiuto passi importanti verso la normalizzazione della nostra politica monetaria. I nostri interventi segnalano che siamo determinati a ricondurre tempestivamente l’inflazione all’obiettivo del 2% nel medio periodo e ad assicurare che le aspettative di inflazione restino saldamente ancorate.

Non permetteremo che questa fase di alta inflazione si trasmetta ai comportamenti economici creando un problema di inflazione persistente. La nostra politica monetaria perseguirà un chiaro obiettivo: assolvere il nostro mandato di stabilità dei prezzi.

  1. Rees, D. e Rungcharoenkitkul, P. (2021), “Bottlenecks: causes and macroeconomic implications”, BIS Bulletin, n. 48, Banca dei regolamenti internazionali, novembre.

  2. Gli esperti della BCE hanno stimato che i nostri errori di previsione a un trimestre nel periodo compreso dall’inizio del 2021 al primo trimestre del 2022 sono riconducibili per circa il 75% a errori nelle ipotesi sui corsi dell’energia. Cfr. Chahad, M., Hofmann-Drahonsky, A.-C., Meunier, B., Page, A. e Tirpák, M. (2022), “A cosa si devono i recenti errori nelle proiezioni di inflazione formulate dagli esperti dell’Eurosistema e della BCE?”, Bollettino economico, numero 3, BCE.

  3. Livelli medi dal 1° gennaio 2022 al 23 febbraio 2022.

  4. Boehm, C.E., Flaaen, A. e Pandalai-Nayar, N. (2019), “Input Linkages and the Transmission of Shocks: Firm-Level Evidence from the 2011 Tōhoku Earthquake”, The Review of Economics and Statistics, vol. 101, n. 1, MIT Press, marzo, pagg. 60-75.

  5. Lagarde, C. (2022), “A new global map: European resilience in a changing world”, intervento principale presso il Peterson Institute for International Economics, Washington, D.C., 22 aprile.

  6. Hamilton, J.D. (2011), “Historical Oil Shocks”, NBER Working Paper Series, n. 6790, National Bureau of Economic Research, febbraio.

  7. Bachmann, R. et al. (2022), “How it can be done”, ECONtribute Policy Brief, n. 34.

  8. Kuik, F., Morris, R. e Sun, Y. (2022), “L’impatto dei cambiamenti climatici sull’attività economica e sui prezzi: evidenze da un’indagine presso imprese leader”, Bollettino economico, numero 4, BCE.

  9. McKinsey (2021), “How COVID-19 is reshaping supply chains”, 23 novembre.

  10. Durante le recessioni che colpirono gli Stati Uniti dagli anni ’50 agli anni ’80, la diminuzione media del 2% fra livello massimo e minimo del PIL in termini reali è riconducibile per 1,4 punti percentuali agli investimenti in scorte. Cfr. Piger, J.M. (2005), “Is the Business Cycle Still an Inventory Cycle?”, Economic Synopses, n. 2, Federal Reserve Bank of St. Louis. 

  11. Lagarde, C. (2022), “Monetary policy normalisation in the euro area”, Il Blog della BCE, 23 maggio.

  12. Il Consiglio direttivo 1) ha deciso di reinvestire flessibilmente i titoli in scadenza nell’ambito del programma di acquisto per l’emergenza pandemica e 2) ha varato un nuovo strumento di protezione del meccanismo di trasmissione della politica monetaria.

  13. Valori mediani delle recessioni.

  14. Si veda “Uno scenario meno favorevole connesso alla guerra in Ucraina e ai tagli alle forniture di energia”, Proiezioni macroeconomiche per l’area dell’euro formulate dagli esperti della BCE, settembre 2022.

  15. Weber, M., D’Acunto, F., Gorodnichenko, Y. e Coibion, O. (2022), “The Subjective Inflation Expectations of Households and Firms: Measurement, Determination and Implications”, NBER Working Paper Series, n. 30046, National Bureau of Economic Research, maggio.

  16. Goldfayn-Frank, O. e Wohlfart, J. (2020), “Expectation formation in a new environment: Evidence from the German reunification”, Journal of Monetary Economics, vol. 115, pagg. 301-320.

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