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Luis de Guindos
Vice-President of the European Central Bank
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Intervista con Il Sole 24 Ore

Intervista a Luis de Guindos, Vicepresidente della BCE, condotta da Isabella Bufacchi

14 maggio 2023

La BCE ha aumentato i tassi di interesse di 375 punti base ad una velocità molto elevata (sette aumenti in meno di un anno) per riportare l’inflazione al 2% nel medio termine. Questo tipo di inasprimento della politica monetaria non ha precedenti nell’area euro, e arriva tra l’altro dopo molti anni di tassi su livelli bassi e mentre l’invasione della Russia in Ucraina ha portato una guerra in Europa, la crisi energetica, il rischio di recessione. Il Consiglio direttivo della BCE tiene conto dell’impatto di questa stretta sulle banche e sulla stabilità finanziaria oltre che alla stabilità dei prezzi?

Il nostro mandato è la stabilità dei prezzi e la politica monetaria restrittiva risponde alla situazione dell’inflazione, e la nostra inflazione è molto elevata: è scesa dal 10,8% dello scorso ottobre, ma resta alta. Detto questo, nonostante la stretta molto forte non abbiamo visto alcun problema di stabilità finanziaria. I rendimenti dei titoli di Stato sono saliti, ma gli spread sono rimasti abbastanza stabili. Non si è visto un aumento della frammentazione in seguito a questo rialzo dei tassi. Inoltre i bilanci delle banche europee stanno migliorando, nel primo trimestre di quest’anno la redditività è risultata migliore delle attese. Qualche tensione si vede tra gli intermediari finanziari non bancari europei, che hanno molta leva finanziaria, sono più esposti al rischio di liquidità. Ma nulla paragonabile alla crisi bancaria negli USA.

E considerate gli effetti su famiglie, imprese e sull’economia?

Sì, ne teniamo conto. Le imprese hanno iniziato a risentire del rialzo dei tassi d’interesse ma non c’è stata un’ondata di default e neanche di “angeli caduti” (fallen angels, debitori con rating d’investimento retrocesso a rating speculativo). In quanto alle famiglie, la buona performance del mercato del lavoro continua ad essere di supporto per affrontare l’inasprimento delle condizioni di finanziamento. Quindi, finora tutto bene direi. Ma è chiaro che continuiamo a monitorare la situazione, guardando a un’ampia gamma di indicatori.

Si è temuto che la politica monetaria molto restrittiva della BCE potesse combattere l’inflazione solo al costo di una recessione nell’area dell’euro, ma non sembra sia così…

In effetti, a dicembre le nostre proiezioni prevedevano una recessione tecnica, le abbiamo però riviste a marzo. La crescita è stata piatta nel quarto trimestre del 2022, e nel primo trimestre 2023 è lievemente positiva. L’area dell’euro ha evitato la recessione tecnica: ma la politica monetaria restrittiva funziona con la stretta delle condizioni di finanziamento. Abbiamo iniziato a vedere che il restringimento inizia a farsi sentire sul mercato dei prestiti bancari, le banche hanno iniziato a inasprire il credito, la trasmissione della politica monetaria sta quindi funzionando. E vedremo quali saranno gli impatti sull’economia reale.

L’ultimo rialzo deciso dal Consiglio direttivo è stato di 25 punti base, un rallentamento rispetto agli aumenti di 50 o 75 punti base. Ma il linguaggio usato nella decisione di politica monetaria e dalla presidente Christine Lagarde in conferenza stampa è stato più da falco che da colomba. “Resta ancora strada da fare”, “questa non è una pausa”…

L’aumento “normale” dei tassi in politica monetaria è un quarto di punto. I rialzi da 50 e 75 punti base sono stati dei passi straordinari per rispondere a un’inflazione molto alta. Dovevamo innalzare i tassi di 375 punti base, è stata una fase importante e l’inflazione infatti sta scendendo. Ora siamo arrivati alla fase finale del nostro viaggio di inasprimento monetario, e dunque torniamo alla normalità, ai passi da 25 punti base.

Lei è stato favorevole al rialzo di 25 punti base o preferiva 50?

Il rialzo di 25 punti base è stato la decisione corretta da prendere. Sono stato favorevole anche durante le discussioni preliminari all’interno del Comitato esecutivo. La grande maggioranza del Consiglio direttivo è stata favorevole alla proposta. Si potrebbe dire che c’è stato quasi un appoggio pieno per un quarto di punto.

E in futuro?

Guardando avanti, dipenderà dai dati. Decideremo di riunione in riunione. E dall’evidenza del funzionamento dell’inasprimento delle condizioni di finanziamento. E dall’andamento dell’inflazione, complessiva e di fondo.

Quale pesa di più delle due, quella complessiva (headline) o quella di fondo (core)?

Entrambe scenderanno nei prossimi mesi. Nel caso di quella complessiva, i prezzi dell’energia saranno fondamentali. Bisognerà tener conto dell’effetto base (ndr. per misurare l’inflazione si confrontano le variazioni dei prezzi di anno in anno, e questo effetto base svanirà rapidamente) e dell’impatto della fine delle misure di sostegno dei governi. Ma anche l’inflazione di fondo sarà rilevante, la “core” è un buon indicatore per prevedere il medio termine. In merito all’inflazione di fondo, quel che mi impensierisce sono i prezzi dei servizi, che sono una parte importante dell’inflazione di fondo. La domanda dei servizi in Europa, per esempio in Italia e in Spagna, è molto alta ed è molto sensibile all’evoluzione dei salari e del mercato del lavoro. Dobbiamo osservare attentamente l’impatto di salari e servizi sull’inflazione di fondo.

Un’altra decisione dell’ultima riunione del Consiglio direttivo è stata la fine dei reinvestimenti dei titoli che scadranno nel portafoglio del programma APP dal primo luglio. Ma intanto il programma PEPP resta intoccato, niente vendita di titoli prima della scadenza: che peso ha il quantitative tightening (QT) solo sui reinvestimenti APP nella politica monetaria restrittiva della BCE?

I tassi d’interesse sono il nostro strumento principale di politica monetaria. La riduzione e il successivo azzeramento dei reinvestimenti nell’APP, il cosiddetto quantitative tightening (QT), è pienamente allineato al nostro orientamento di politica monetaria. Va in parallelo al rialzo dei tassi d’interesse e rafforza la stretta monetaria. Pensiamo che abbia portato a un aumento di 60-70 punti base dei rendimenti dei titoli di Stato a dieci anni. Ma gli effetti maggiori derivano dai rialzi dei tassi di 375 punti, che restano il nostro strumento principale di politica monetaria. Pubblicheremo ulteriori dati sull’impatto del QT nei prossimi giorni, sebbene i calcoli debbano sempre essere presi con cautela. Una buona comunicazione del QT e il TPI (Transmission protection instrument) hanno contribuito nel complesso ad evitare una turbolenza sui mercati con la fine dei reinvestimenti nell’APP.

Il faro è puntato anche su un altro importante strumento, i prestiti mirati TLTRO. Il prossimo mese le banche rimborseranno 477 miliardi: conferma che non è prevista alcuna formula di “prestito ponte” per attutire l’impatto di questo maxi-rimborso?

Le TLTRO sono state uno strumento straordinario per situazioni straordinarie, ad esempio la pandemia che ora è finita. Le banche hanno programmato perfettamente il rimborso in base alla nota tabella di marcia. E prevedo che per la tranche di giugno, le banche – anche quelle che hanno usato di più le TLTRO – non avranno alcun problema a ricostruire questa liquidità. Oltre a MRO e LTRO come alternative, le stesse TLTRO in casi straordinari possono tornare ad essere un’alternativa valida. Restano parte degli strumenti a nostra disposizione.

Le banche hanno avuto preoccupazioni peggiori delle TLTRO: prima la pandemia, poi la guerra in Ucraina, la crisi energetica, l’inflazione. Hanno superato tante crisi finora.

Le banche dell’area dell’euro sono resilienti in termini di capitale, di liquidità. E ora anche la redditività è in risalita, grazie ai margini più alti per il rialzo dei tassi. Ma non è il caso di abbassare la guardia, dobbiamo essere molto cauti: la combinazione del rallentamento dell’economia e del rialzo dei tassi porterà a un rincaro della raccolta per le banche e forse a un aumento dei crediti deteriorati (NPL). Al momento il miglioramento dei margini più che compensa le perdite potenziali causate dall’aumento degli NPL. Ma dobbiamo seguire attentamente gli sviluppi.

E le banche italiane?

La situazione delle banche italiane è molto diversa da quella di 10-12 anni fa, hanno più capitale, sono più liquide, hanno ripulito i bilanci – i crediti deteriorati sono scesi leggermente sotto il 2,5% del totale degli attivi, un livello senza precedenti – e sono resilienti, senza dubbio. Ma anche per loro come per le banche europee, tutto dipenderà dall’andamento dell’economia, la resilienza di imprese e famiglie sarà cruciale. Non prevediamo un’ondata di crediti deteriorati, ma non è il momento di essere compiacenti.

Quali lezioni possiamo trarre dalla crisi bancaria negli Stati Uniti?

La crisi che ha colpito le banche regionali americane è stata un monito e abbiamo visto come l’umore dei mercati possa cambiare repentinamente. La situazione in Europa è diversa. Non corre i rischi sistemici a cui sono esposte le banche regionali americane e dispone, ad esempio, di una base di depositi al dettaglio molto più ampia di quella americana. Ma resta il fatto che la digitalizzazione e i social media possono contribuire ad accelerare all’improvviso la corsa agli sportelli. Per questo sono convinto che l’EDIS (European deposit insurance scheme), il sistema europeo di assicurazione dei depositi, sia un passaggio chiave. Dobbiamo assolutamente completare l’unione bancaria dotandoci dell’EDIS. La mancanza di un’unione bancaria completata può diventare la nostra principale fonte di vulnerabilità. Direi persino che la mancanza dell’EDIS è la vulnerabilità principale del sistema bancario europeo. Non introdurlo sarebbe un grave errore.

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